Sui self-publisher esiste un preconcetto: “ti pubblichi da solo perché nessuno ha voluto il suo libro”. Spesso è vero e nel mio caso è vero in parte. Arrivata alla decima revisione ho iniziato a spedire il mio manoscritto a degli editori: ho pensato di partire dai più grossi per ridimensionare poi le mie pretese col tempo. Ho quindi fatto i miei invii a Einaudi, Mondadori, Rizzoli e Giunti. Contemporaneamente ho proposto il testo anche a un’agenzia letteraria per avere un parere professionale visto che fino a quel momento mi ero basata sui consigli di amiche forti lettrici. L’agenzia letteraria milanese che ho contattato, e il cui giudizio ho pagato profumatamente, mi ha risposto dopo due mesi con quattro infauste cartelle.
La ricerca di un editore
![Originale della copertina](https://www.claudiamura.it/wp-content/uploads/2018/12/rosaeio-256x300.jpg)
La foto originale usata poi per la copertina
Dopo due giorni da questa vera stroncatura, fortunatamente mi ha risposto Einaudi: due cartelle di giudizi e consigli. Non erano tenuti a farlo e non mi risulta siano soliti rispondere negativamente per iscritto corredando la missiva di suggerimenti. Il responso in sostanza era: non siamo interessati alla pubblicazione ma il manoscritto non è male posto che si facciano alcune modifiche. Secondo il lettore di Einaudi, il personaggio principale funzionava (contrariamente a quanto ritenuto dall’agenzia), non solo, chiudeva la missiva con un “grazie per avercela fatta conoscere”.
Per me è stato come ricevere un 10 e lode dopo un 4. Ho quindi buttato via il giudizio dell’agenzia letteraria per operare una nuova revisione accogliendo i suggerimenti di Einaudi, parere decisamente più autorevole. In realtà prima di pubblicare ci sono state altre quattro revisioni e alla fine sono passati quattro anni dalle prime stesure. Non ho più proposto il mio manoscritto ad alcun editore e nel frattempo ho maturato la decisione di auto pubblicarmi. Ha contribuito alla scelta un corso sulla comunicazione su Facebook: parlai del mio libro a uno dei docenti per confrontarmi con lui sulla via migliore per promuoverlo una volta pubblicato e lui mi rivelò quanto gli editori fossero indietro nella comunicazione sui social: “Se vorrai promuoverlo su facebook e instragram dovrai farlo da sola perché non sono capaci. Solo che poi i proventi se li prenderanno loro. Perché non pensi al self-publishing?”
Primi dubbi
Fu il primo tarlo, in rapida successione mi capitò poi di intervistare due autori che avevano fatto la stessa scelta, uno addirittura aveva mollato il suo vecchio editore e pubblicava da solo sulle piattaforme on-line con miglior profitto.
Nonostante il rischio “me la suono e ma la canto”
I loro esempi mi fecero riflettere ma alla fine ho scelto l’autopubblicazione per diversi motivi: per sfida, per vedere come nasce un libro dalla a alla zeta e dominarne ogni processo, perché sono una sarda orgogliosa e ho difficoltà a chiedere l’attenzione che non mi arriva spontaneamente. Gli editori ultimamente sembrano essere diventati dei dittatori di fronte ai quali gli esordienti devono prostrarsi e la cosa mi è proprio indigesta. Meglio chiedere direttamente l’attenzione dei lettori.
In questo modo è tutto più impegnativo e il processo creativo non si esaurisce nella scrittura del libro ma continua con la sua promozione, il che può anche essere stressante. Soprattutto se vorresti dedicarti a un nuovo libro e io mi sento già premere dentro le voci dei nuovi personaggi.
Una signora anziana ma ancora insostituibile
In tanti dicono che l’editoria vecchio stile sia morta e il futuro sia nel self-publishing. Chi lavora nell’editoria non la pensa così e nemmeno io. Di sicuro questo futuro non è così imminente.
Io amo l’editoria e mi piacerebbe lavorarci dentro: è l’unico mestiere che mi piacerebbe di più rispetto a quello che faccio. E parlo con cognizione di causa perché prima di diventare giornalista professionista ho lavorato per un piccolo editore locale: l’ideale per capire come funziona la macchina che stampa libri. Facevo di tutto: dalla correzione di bozze alla consegna nelle librerie. Ho progettato un intero catalogo e lo ricordo come una delle mie maggiori soddisfazioni lavorative.
Amare l’editoria e farne a meno è contraddittorio? Non dal mio punto di vista: con Tango in campo minato ho messo in pratica ciò che ho imparato. Forse non è sufficiente ma ho fatto tutto da sola: dalla copertina (che è un selfie) all’impaginazione e niente editing. Nel bene e nel male posso dire “questo è ciò che io so fare”.