Perché un incipit sul suicidio?

Qualcuno mi ha fatto questa domanda dopo avere letto Tango in campo minato e voglio sciogliere qui la curiosità che ha espresso per prima mia madre con un tantino di preoccupazione.

Come la protagonista Lena, sono una che pensa spesso alla morte e mi vanto di saperlo fare senza riserva scaramantica, con paura sì ma senza scongiuri d’accompagnamento. Certo, ci penso come qualcosa che mi capiterà fra 100 anni (perché io voglio campare a lungo, sia chiaro) ma coma si fa a non pensare all’unica cosa certa della propria vita?

Il suicidio è la scelta di non aspetta che la morte arrivi quando le pare. Un’ipotesi che, nel caso di Lena, serve al suo contrario: a stabilire che vale ancora la pena vivere.

Un tempo, quando ero convinta che non fosse la fine di tutto, la morte non mi faceva paura. Ora che questa convinzione non la ho più, sono terrorizzata all’idea che con questo mio guscio carneo finisca tutto. Per questo avere scritto un libro mi è di grande sollievo.

Non che io faccia ragionamenti tipo: ora posso anche morire, ma lo ritengo meno grave. Sapere che, se dovessi andarmene, esiste qualcosa che può testimoniare di me e del mio pensiero, posto che le pagine scritte incontrino un lettore, mi dà quasi quiete.

Non che Tango in campo minato sia un capolavoro, quello deve ancora venire, ma c’è dentro una pagine importante di me, quella che vorrei fosse letta al mio funerale, laico ovviamente. Piangevo mentre la scrivevo perché ero colma di quella emozione che descrivo nel libro. Piangevo perché stavo scrivendo la verità, la mia verità. Quella che ho scoperto vivendo. È nel 25° capitolo, Preghiera laica. Ve la propongo qui:

“Io sono l’essere umano.
Sono l’umanità di questa terra e può bastare poco a spazzarmi via da qui ma io amo.
Amo questo mondo.
Amo i miei fratelli e le mie sorelle.
Tutto un giorno avrà fine.
E forse morirò senza avere generato ma io ora amo.
E sarà valsa la pena esistere e morire per avere vissuto questo momento.
Da questo angolo di terra e di tempo io respiro e amo.
Questo è tutto il mio potere ma posso accettarlo.
Un giorno sparirò e forse di me non resterà niente.
E anche questo ho la forza, il potere e il coraggio di accettarlo.
Mia è la potenza di ammettere quel forse, quel dubbio, quel salto nell’ignoto, nel sempre sconosciuto, nel sempre temuto.
Ma io posso, io so guardare quella nebbia e questo è il mio vero potere di essere umano libero.
Libera dal bisogno di inventarmi padre e madre celesti.
Perché mi so orfana: non figlia di alcuno, solo sorella.
Sorella dei miei adorati pari.
Io vi prometto amati miei che mai mi racconterò una favola per paura di morire in solitudine.
E vi amerò, vi amerò sempre anche quando crederò di odiarvi.
Vi amerò e aspetterò che mi amiate e mi riconosciate sorella.
Ecco la mia preghiera, la mia preghiera laica è per voi, gli unici sicuramente esistenti.
Gli unici che davvero amano, che davvero ascoltano, che davvero perdonano.
Gli unici capaci di salvarmi”.

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